Già negli anni ’80 Fulco Pratesi aveva pubblicato un libro (edizioni Rizzoli, con belle illustrazioni a colori) dal titolo irresistibile: “Natura in Città”.
Il libro invitava a guardarci attorno con attenzione per scoprire e riconoscere tutti i piccoli ospiti selvatici che, come il topolino della favola, si erano trasferiti proprio accanto a noi, fra asfalto, automobili, edifici industriali e parchi cittadini.
L’ossimoro fra città/cemento/smog e natura/verde/animali era narrativamente molto intrigante. Allora gli incontri con questi coinquilini erano piuttosto rari, ed era affascinante immaginarsi protagonisti di un pacifico safari urbano. Oggi, quel titolo appare quasi profetico: è cronaca pressoché quotidiana il racconto della (contro)colonizzazione del Selvatico in città. Gabbiani, cinghiali, cervi e caprioli, volpi, scoiattoli si avvistano spesso in prossimità o addirittura dentro i nostri quartieri, i cetacei entrano nei porti e nelle darsene. Ci sono metropoli del mondo dove scorrazzano caimani, scimmie, coyote e marabù – se non sapete cos’è vi invito a scoprirlo e a immaginare di trovarvelo in terrazzo.
L’avanzare del Selvatico è diventato molto evidente dal post-covid.
Senza indagare sulle cause fisiche di questa inurbazione, possiamo osservarla dal punto di vista energetico e spirituale, in un’ottica sistemica che a sua volta è duplice: il significato per la comunità e il messaggio per il singolo.
Quale messaggio porta alla singola persona l’epifania improvvisa di un animale selvatico nella propria giornata?
“Stamattina, andando in ufficio, mi ha attraversato la strada un cinghiale”, “C’è una volpe nel quartiere che viene ogni sera a mangiarsi le crocchette della colonia felina”, “Ieri sera fuori dalla pizzeria è passato un tasso”, “Ai Fori Imperiali i gabbiani rubano i panini ai turisti!” sono episodi comuni.
Nelle culture native e nelle tradizioni sciamaniche i movimenti degli animali erano osservati con molta attenzione, quali segnali e indicazioni della condizione della comunità, che a sua volta viveva e rappresentava sé stessa come un’unità integrata nella Natura.
Nel momento storico di massima separazione fra Uomo e Natura, gli animali-totem, gli animali-guida stanno forse tornando e ci chiedono di interpretare il loro messaggio.
Come si può fare?
Se non siamo esperti di qualche sciamanesimo, il linguaggio universale delle favole può venirci in aiuto. Se ci piace la fiction, possiamo addirittura rispolverare il viaggio dell’eroe.
Proviamo a osservare il fenomeno da più punti di vista. Un esempio fra tanti:
Esterno notte. Quartiere residenziale a Roma Nord. Scendo a mezzanotte, in infradito e canotta a buttare l’umido con le bucce del cocomero e dietro ai cassonetti condominiali ecco che mi appare un cinghiale. Freeziamo il fotogramma e scomponiamolo:
- È da solo? È adulto? È maschio o femmina? Di che colore è? È integro o ferito? Capisco se è giovane o vecchio? Questi potrebbero essere indicatori della polarità energetica che l’animale mi sta manifestando.
- Che attitudine ha verso di me? Mi ignora? È spaventato? È curioso? Fugge? Mi viene incontro? Sta fermo? È frontale, laterale, di spalle? In piedi o sdraiato? La sua posizione rispecchia o confligge con la mia posizione mentale di questo momento? Oppure mi ricorda qualcuno?
- Tace o emette dei suoni? Borbotta, grufola, si lamenta, chiama i suoi simili? Come mi risuona il suo silenzio o il suo vocalizzare?
- Cosa mi rappresenta/mi ricorda/mi evoca questo animale? Lo associo a una frase, una parola, un evento? A me personalmente i cinghiali ricordano gli studi di letteratura inglese, in particolare il Riccardo III di Shakespeare. E la prima citazione che mi sovviene è la maledizione dei fantasmi che incalzano Riccardo: “Domani nella battaglia pensa a me. Dispera e muori!”. Magari – spero – a qualcun altro il cinghiale fa venire in mente dei riferimenti politici o una canzone di Battiato, o altro ancora…
- Che emozione sto provando: paura? ansia? rabbia perché mi sono sentita costretta a uscire visto che nessuno si è offerto di scendere al posto mio? curiosità? mi fa pena? ribrezzo, senso di sporco? sono tentata di allungargli le bucce del cocomero (da gattara a cinghialara è un attimo…)?
- Riesco a riflettere per un momento che, in quanto umana, io discendo di diritto dalla più terribile stirpe cacciatrice e predatoria della Terra e che questo individuo zannuto davanti a me avrebbe tutto il diritto di essere terrorizzato?
- Come si inserisce questo evento nella mia giornata/momento storico? Sto vivendo un periodo piatto e monotono e questo potrebbe rappresentare il mio bisogno di una piccola scossa di adrenalina? Ho passato una giornata molto pesante e l’animale potrebbe incarnare la materializzazione di tutto il mio stress? Sono stata troppo ligia e rispettosa e avrei voglia di azzannare qualcuno?
- Cosa rappresenta nella cultura popolare e nella tradizione questo animale? Basta guardare su Google: “Cinghiale: simbolo di ferinità selvaggia, forza e coraggio” magari mi sta portando in dono proprio queste qualità… “Animale sacro per il popolo celtico”: la tradizione celtica mi corrisponde personalmente, dunque posso interpretarlo come supporto da parte degli antenati. E così via.
Queste domande vogliono essere solo uno stimolo a interrogarsi; ognuno può sviluppare il proprio metodo.
L’invito è provare a decodificare questo linguaggio simbolico, al tempo universale e personale, che ci circonda. Potrebbe essere insospettabilmente interessante e portarci a riflessioni su episodi apparentemente più banali:
- Perché improvvisamente ho la cucina invasa di formiche?
- Perché le vespe hanno fatto il nido nella tapparella del salone?
- Perché è entrato un pipistrello dalla finestra?
- Perché (e da chi?) il cavo elettrico del cancello è stato rosicchiato e messo fuori uso?
Dal punto di vista collettivo, potremmo soffermarci sia sul rispecchiamento che questi gruppi di animali attuano nei confronti del nostro stesso comportamento, sia sui valori e le qualità che questi animali rappresentano e ci stanno portando.
Ad esempio, a Roma (ma anche in altre capitali europee) i gabbiani rubano, taccheggiano i turisti che provano a fare uno spuntino e praticano l’accattonaggio fuori dai ristoranti. Che schifo, diciamo noi.
Sì, ma a chi somigliano?
Le volpi sono sempre più prossime alla domesticazione, su Facebook ci sono gruppi di persone che si scambiano foto di volpi che visitano i loro giardini, stipulando patti di non belligeranza con cani e gatti.
Cosa ci porta la volpe?
Forse intelligenza, diplomazia, saper vivere in più dimensioni e di certo tanto altro che vale la pena indagare.
Sempre a Roma, ad ottobre gli storni migratori organizzano il loro gigantesco flashmob annuale a tema shit storm sul centro storico e il Lungotevere. Verso le diciotto, per attraversare da Trastevere al Ghetto via Isola Tiberina l’ombrello è mandatorio.
Mi chiedo se non vogliano puntare il dito (e la coda…) su tutti gli haters del web e anche della porta accanto.
Eppure gli stessi storni mettono in scena delle coreografie straordinarie nel tramonto autunnale.
Siamo ancora capaci di vedere la bellezza, attorno a noi e nel prossimo?
E potremmo provare per una volta a sentirci tutti come se fossimo Uno? Quanta conoscenza ci portano i Fratelli Selvatici, se la vogliamo accogliere?
Sono Federica Masoli e sto completando la mia formazione come consulente di Fiori di Bach nella relazione Uomo – Animale. Scrivimi se ti va di parlare di questo articolo e di tutto ciò che riguarda la relazione fra animali e persone, ne sarò felice federica.masoli@gmail.com