Per addentrami in queste brevi riflessioni prendo spunto dal famoso romanzo di Natalia Ginzburg (premio Strega 1963) e anche dall’assunto che le parole creano il mondo, condiviso dalle teorie dell’intelligenza linguistica e del determinismo linguistico, dal cosiddetto pensiero positivo e da numerose dottrine metafisiche ed esoteriche, fino al buddismo e al Vangelo. Insomma, un’affermazione che mette d’accordo scienza e spiritualità, pensiero laico e religioso.
Come e quanto le parole che rivolgiamo ai nostri animali possono influenzare la loro vita, il loro comportamento, le loro attitudini?
Inoltre, essendo le nostre parole la traduzione della nostra percezione del mondo, è interessante osservare come la nostra stessa percezione del mondo influenzi il mondo degli altri, dei nostri animali in particolare.
È la teoria quantistica secondo cui l’osservatore modifica l’esito dell’esperimento, riportata direttamente nel nostro salotto di casa, o nel nostro giardino.
Nel 2021 è stato pubblicato su Animal Cognition (1) un articolo di alcuni scienziati francesi secondo cui il baby talk, cioè rivolgere ai nostri animali paroline dolci, con vocine flautate, sia una pratica molto apprezzata dai cavalli, che si mostrano più fiduciosi, sereni e affettuosi durante le pratiche di cura quotidiana, il cosiddetto grooming. Fa piacere che la scienza voglia validare una situazione che eserciti di canare, gattare e cavallare conoscono da sempre.
Fa invece riflettere che, come l’articolo riporta, più della metà dei cavalieri intervistati crede che i cavalli non comprendano l’intenzione della voce umana e quindi non parlino ai loro cavalli. Ci fa riflettere, poiché l’assenza di parole riporta a una reificazione del cavallo, che, almeno dal punto di vista del linguaggio, da soggetto senziente diventa oggetto inanimato.
È interessante notare che nel contesto dell’equitazione sportiva, si fa spesso riferimento al cavallo con una certa schizofrenia.
Da una parte il cavallo diventa l’espressione di un prolungamento egoico del cavaliere e della amazzone (e i bambini non ne sono esenti). Si descrive con un certo compiacimento la genealogia del proprio animale come se si facesse riferimento alla zia contessa o al bisnonno marchese che danno lustro alla famiglia: così il cavallo viene incaricato di conferire al suo cavaliere quei quarti di nobiltà che lo elevano socialmente. Ai concorsi, gli ippo-genitori elencano le performance atletiche del cavallo comprato al pargolo, nella convinzione di proiettare sul pupo stesso un faro di talento sportivo e di gloria.
D’altra parte, se le cose non vanno come si sperava, è facile sentire dire di un cavallo che è cocciuto, che è un marcione, che è testardo, che è un maiale. Si dice anche fagli vedere chi comanda, fatti rispettare, non dargliela vinta, quando ci vuole ci vuole (la punizione). In questo caso, attraverso tutte queste forme espressive attribuiamo ai nostri cavalli delle volontà riottose, la malizia di voler limitare il nostro successo sportivo, una sorta di dispetto perpetrato contro i nostri programmi. Viene da pensare che il cavallo, in questo caso, agisca da specchio per riflettere proprio la percezione di sé e del mondo propria dell’umano che usa queste formule.
In seconda battuta, è lecito pensare che queste parole effettivamente influiscano sull’ attitudine stessa del cavallo, che dal punto di vista energetico sarà confermato nel continuare comportarsi allo stesso modo.
È lecito infine sospettare che questo linguaggio aggressivo e accusatorio possa ferire a livello energetico l’animale, provocandogli sofferenza e dispiacere.
Ho conosciuto cavalli che per anni si sono stati definiti responsabili, ossia sono stati accusati e incolpati, della scarsa performance sportiva del binomio, cavalli che hanno poi manifestato questa male-dizione nel corpo attraverso sintomi, dolori e incidenti. Hanno manifestato energeticamente nel corpo la disfunzione delle frequenze basse di queste parole.
Mi fa piacere citare un testo, ormai introvabile, uscito in Italia con il romantico titolo “Voglia di Vincere” che in nell’originale inglese era “A new approach to riding using psychocybernetics” (1992) che tratta proprio dell’applicazione del linguaggio positivo negli sport equestri. Il testo riporta come uno dei più vincenti cavalieri di dressage al mondo negli anni ‘80-‘90, Robert Dover, fosse solito riferirsi a ciascuno dei suoi cavalli come “un genio”, “il migliore del mondo”, “il migliore in questa competizione e in tutta la nazione” sempre con iperboli positive. I suoi successi testimoniano la validità del metodo, credo.
Tutto questo appare ancora più evidente e quotidiano nella relazione con i piccoli animali che vivono in casa con noi. Sappiamo che i nostri pet tendono ad assomigliarci, per quel fenomeno che in PNL si chiama “rispecchiamento” e che spinge i soggetti in comunicazione a replicare, come in uno specchio, posture e toni dell’interlocutore, per favorire una relazione più empatica e profonda. Quanta parte ha il logos in questo? Probabilmente una parte importante. Quando diciamo che il nostro animale è nevrotico, isterico, fragile, oppure simpatico, estroverso, casinista, compagnone, riconosciamo in lui delle caratteristiche che gli sono proprie? Oppure proiettiamo su di lui le nostre e così facendo in qualche modo orientiamo il suo comportamento?
Queste osservazioni ci spingono a riflettere su un’etica della comunicazione con i nostri animali, che ha anche degli effetti pratici, facilitando l’organizzazione quotidiana delle attività
- Dire sempre la verità
Non dire “andiamo al parco” quando l’intento è andare dal veterinario. Gli animali non mentono o almeno mostrano una capacità di simulazione molto limitata. Ingannarli fa vacillare la loro fiducia in chi rappresenta la totalità del loro mondo. Interroghiamoci: tendiamo a mentire per facilitarci la vita? Manipoliamo la fiducia del prossimo?
- Condividere informazioni dettagliate, spiegare
Per riprendere l’esempio precedente, spiegare che “stiamo andando dal veterinario, che ti farà le tali manovre, per aiutarti a stare meglio. Non sentirai dolore e io resterò con te tutto il tempo”. Anche in caso di traslochi o vacanze è sempre bene spiegare nel dettaglio tempi e modalità. Molti proprietari mi contattano per le comunicazioni, proprio per spiegare ai loro animali che ci saranno dei cambiamenti alla routine. Ogni volta constato che l’animale ne è già a conoscenza perché ha ascoltato le conversazioni in casa e che avrebbe avuto piacere a ricevere una informazione diretta, con i dettagli che lo riguardano. Non vergognatevi, spiegate direttamente “io e babbo staremo via dal 25 al 2, tu andrai da zia Lilly che si occuperà di te. Avrai il tuo cibo preferito e le tue cose. La sera del 2 ti verremo a prendere”. Interroghiamoci: pratichiamo il disallineamento informativo, per disattenzione o per avvantaggiarci, nella nostra vita?
- Comunicare la salute in forma positiva
Sappiamo che quando un nostro animale mostra un problema di salute, il dramma monta rapidamente. Il nostro senso di responsabilità, il nostro attaccamento, il peso delle esperienze precedenti ci possono trascinare nel baratro delle ipotesi peggiori. Be calm and red chestnut! Impegniamoci a usare delle formule positive: “stai guarendo. Questa terapia è molto efficace. Di giorno in giorno ti senti sempre meglio. Hai tutto il nostro aiuto. Sei forte, sei robusto.”. È molto importante che anche il Veterinario abbia cura del suo linguaggio, tema questo già complesso in umana. Per i più coraggiosi, segnalo “Parole Magiche per Animali” di Cristiano Tenca Parole Magiche per gli Animali – Cristiano Tenca – Libro esiste anche il gruppo su Facebook. Interroghiamoci: per noi una diagnosi è già una sentenza? Una familiarità diventa una condanna? Ci sentiamo predestinati a qualche patologia poiché qualcuno in casa nostra ne ha sofferto in passato?
- Appellativi positivi
Ricordo che un allenatore di cavalli da corsa, un tipo davvero vecchio stampo, con nessuna tendenza olistica, mi redarguiva perché usavo rivolgermi al cavallo che montavo come “povera bestia”. Lo dicevo in senso affettuoso ed empatico, ma per lui quel “povera” era una “male-dizione” sul suo cavallo. Mi fece riflettere su certi termini buonisti con cui condiamo i nostri dialoghi, anche a fin di bene. Quei “poverino”, “piccolino”, “delicato” che rivolgiamo a individui che nella loro specie sono adulti e sviluppati posso diventare dei fattori depotenzianti, che indeboliscono? Meglio evitare, e abbondare con i “bravo”, “forte”, “super”, “sei al sicuro”, “sei in gran forma”. Non mi dilungo sugli insulti tipo “isterico”, “aggressivo”, “carogna”, “stupido”, per i quali vale ovviamente lo stesso discorso. Riflettiamo: tendiamo nella nostra vita a cercare la compassione altrui per facilitarci i rapporti? Oppure, tendiamo a etichettare i nostri interlocutori, affibbiando loro la responsabilità delle nostre relazioni disfunzionali?
- Dissociare il comportamento dall’essenza
È chiaro che non siamo nel mondo dei Puffi e che si possono manifestare situazioni serie da affrontare, che devono essere definite con chiarezza. In questo caso è necessario separare accuratamente la definizione dell’animale da quella della situazione (salute o comportamento). In sintesi, non usiamo il verbo essere, coscienti che l’Io Sono costruisce il mondo. Non diciamo quindi “Fido è malato”, diciamo “Fido ha avuto 2 scariche di diarrea e non mangia da ieri”. Non diciamo “Birillo è aggressivo”, ma “Birillo attacca Fuffi, quando Fuffi si avvicina alla ciotola”. Spostando la definizione dall’essere al fare non solo saremo più chiari nella descrizione del sintomo, ma non porremo sull’animale alcuna sentenza. Interroghiamoci: ci identifichiamo con le nostre malattie, con i nostri comportamenti? Attraverso l’uso del verbo essere diamo loro il potere di possederci e di condizionarci. Riprendiamo il controllo, separando la nostra essenza dalla condizione, con un’automatica presa di responsabilità.
Cosa ne pensi?
Sono Federica, mi diletto di comunicazione telepatica animale, sono consulente di Fiori di Bach nella Relazione Uomo – Animale e sto completando la mia formazione come Raidho Equine Coach. Scrivimi se ti va di parlare di questo articolo e di tutto ciò che riguarda la relazione e la comunicazione fra animali e persone, ne sarò felice federica.masoli@gmail.com
(1) https://link.springer.com/article/10.1007/s10071-021-01487-3
Lansade, L., Trösch, M., Parias, C. et al. (2021) Horses are sensitive to baby talk: pet-directed speech facilitates communication with humans in a pointing task and during grooming. Anim Cogn.